Mi sono ritrovato i suoi tacchetti dal mio ginocchio fino all’inguine e mentre spostavo i miei pantaloncini, ho constatato che c’era molto sangue sulle mie mutande; è arrivato il medico e quello che era realmente accaduto era che i tacchetti di Chapman erano entrati nel mio scroto. Nell’intervallo non sono nemmeno andato nello spogliatoio. Mi sono semplicemente diretto nella sala medica, dove sono stato ricucito per poi rientrare in campo per il secondo tempo.
Spesso per David Andrew Seaman si sono sprecate parole. Anche troppe. La verità è che, oltre essere stato uno dei portieri più forti nella storia del football britannico, ne è stata una icona. Grazie ad una personalità predominante, come narrano questa parole al termine di un match di metà anni ’90 tra Arsenal e Leeds United.

Ecco, quando si parla di football, di quel football incastonato tra gli ultimi tramonti del secolo scorso e le prime albe del nuovo, la figura di “Seaman” non può non esser citata. Il nome di un personaggio mai banale, impersonificato da un look inconfondibile, indelebile e affascinante (chiedere alle “ladies” dell’epoca) che ha segnato almeno un decennio. Con la maglia “Gunners” che, a partire dal 1990, diviene una seconda pelle: tredici anni di amore, di condivisione e di storia. 567 partite e 12 trofei in bacheca. Insieme.
Un matrimonio di successo caratterizzato da guizzi eccelsi, come quello dell’ aprile 2003 nella semifinale di FA Cup fra Arsenal e Sheffield Wednesday(la millesima partita in carriera) quando con uno straordinario colpo di reni evita il pareggio delle Owls ed errori grossolani, come quello in finale di Coppa delle Coppe contro il Saragozza(1995), quando al 119′ si fa trovare fuori dai pali e beffare da un pallonetto da quasi 50 metri.
Sfaccettature differenti della carriera di un nome destinato ad essere per sempre fra le leggende del calcio inglese. Il portiere con baffi e codino.
Pierluigi Cuttica