Gareth Barry

Seicento cinquanta tre: un numero come tanti. No, se si parla di Premier League. No, se si parla di Gareth Barry che, grazie a queste tre cifre, marchia a fuoco il suo nome nella storia del football britannico.

653 sono infatti i gettoni, arricchiti da 53 reti, ottenuti nel massimo campionato inglese dal centrocampista di Hastings in ventitré anni di carriera.

Barry la costruisce su un mancino preciso ed educato che gli permette di far girare il pallone e nascondere una certa lentezza, su una poliedricità che gli consente (soprattutto nei primi anni) un utilizzo in diverse porzioni di campo, ma soprattutto su una professionalità fuori dal comune. Gareth si dimostra sin dai primi calci un ragazzo serio e determinato, che vuole fare di quella sfera bianco e nera la compagna di una vita. Sarà così, sino al maggio 2020 quando a 39 anni, decide di appendere gli scarpini al chiodo.

La parte più importante della sua carriera è legata a Birmingham dove, in dodici anni con il suo Aston Villa, diviene prima uomo, poi capitano ed infine leggenda; il rapporto rischia di essere minato dalla scelta, nell’estate 2009, di andare a competere per “qualcosa in più” firmando per il Manchester City. Nonostante la sua lettera d’addio al “Birmingham Mail” in cui spiega i motivi della decisione, i tifosi non la prendono bene: con Barry, oltre la bandiera, se ne va quel romanticismo e quella maglia numero 6 a dettare i tempi della propria squadra.

Barry va a Manchester per un motivo: vincere. E lo fa. Dopo la conquista di una Premier, una Fa Cup ed un Community Shield, trascorre cinque anni nella parte blu di Liverpool, per chiudere il cerchio con l’esperienza triennale al West Brom (due anni di Championship). Il tutto con la solita serietà, affidabilità e con quel sinistro chirurgico.

653 volte Gareth Barry.

Pierluigi Cuttica

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